10.10.20 MELLOW ANIMAZIONE

Da Sing a Venom: intervista all’animatore italiano Giacomo Mora

Giacomo Mora è un animatore italiano, che da diversi anni lavora per grandi studi di produzione tra cui Illumination Mac Guff a Parigi, Cinesite Studios a Montréal e Double Negative a Londra. È anche Lead Animator nel cortometraggio indipendente “Mila” e nel cortometraggio “Solestice”.

Dopo aver trascorso anni con Illumination Entertainment e aver lavorato a film come “Sing”, “The Star”, “Venom”, “Cattivissimo me 3”, spot pubblicitari e cortometraggi, Giacomo ha intrapreso un progetto personale dal titolo Breath, sull’importanza di seguire i propri sogni a qualunque costo, ispirato a un suo caro amico scomparso prematuramente.

Perché hai scelto la strada dell’animazione? Ricordi il momento in cui hai deciso di intraprendere questa strada?

Sì, lo ricordo molto bene. Subito dopo l’università ho lavorato in diversi ambiti artistici, dalla grafica all’illustrazione, passando per siti web e qualche esperienza nella modellazione 3D.
In seguito ho aperto uno studio di grafica in cui ho lavorato per circa un anno; le cose andavano bene, ma un venerdì mattina nel tragitto per recarmi a lavoro mi sono domandato se questo era davvero quello che volevo fare nella vita. Ero davvero soddisfatto così? In realtà, fin da quando ero bambino l’idea di animare ciò che disegnavo mi aveva sempre affascinato moltissimo. E così mi sono detto no, devo ricominciare. Ho lasciato tutto, ed è stata una decisione importante, perché si trattava di una scelta completamente diversa rispetto alle mie esperienze precedenti.

La professione di 3D animator è molto complessa. Che studi hai frequentato? Hai seguito corsi specifici?

Quando ho iniziato ad affacciarmi al mondo dell’animazione mi sono reso conto di quanto ampio fosse. I miei studi avevano sempre riguardato l’ambito artistico, ma mai specificatamente quello dell’animazione. Ho fatto il Liceo Artistico, poi L’Accademia di Belle Arti, ma fino a quel momento non avevo seguito nessun corso specifico sull’argomento. Ho deciso quindi di seguire un corso italiano tenuto da Filippo Dattola, che mi ha davvero illuminato sul mondo dell’animazione. Ma ho anche studiato moltissimo da solo.

Perché di tutte le professioni presenti all’interno del mondo dell’animazione, hai scelto proprio quella di animatore? Cosa ti affascina della tua professione?

Credo che la cosa che mi affascini di più sia dare vita ai personaggi. Si tratta spesso di qualcosa che non ho creato io: un personaggio o un’idea che appartiene a qualcun altro, ma che ad ogni modo, shot dopo shot riesce a prendere qualcosa di mio. È anche un modo per raccontarmi: sono sempre stato un ragazzo timido, un po’ sulle mie, e con l’animazione ho trovato il modo per esprimermi a 360 gradi. Dai gesti, alle espressioni facciali, alle piccole sfumature o scene dinamiche, metto sempre qualcosa di personale, anche se non si nota. Questo spesso rende il personaggio più umano, più ricco.


Nella tua carriera hai avuto modo di lavorare a importantissime produzioni. Cosa si prova a lavorare in progetti così grandi? Immagino che ci sia pochissimo margine di errore e tempi molto stretti...

Il metodo di lavoro dipende molto da studio a studio, ogni realtà ha una diversa pipeline e il suo metodo di gestire la creazione del film. Anche in grandi produzioni come queste capitano spesso errori o cambiamenti dell’ultimo minuto! Bisogna essere bravi ad interpretare bene la visione del director e della produzione e sopratutto non innamorarsi della prima idea, ma essere pronti a cambiare velocemente proposta e venire incontro ai desideri di tutti. È il bello dell’animazione, non si smette mai di migliorare perché si continua a confrontarsi con persone che hanno una cultura diversa e un altro modo di vedere le cose: bisogna essere il più aperti possibile a tutte le opinioni.


Quali sono gli scogli più difficili da superare nell’animare una scena?

Penso che la parte più ardua sia far capire la propria idea, saperla “vendere” al meglio. Nel mio caso sono stato fortunato, spesso mi hanno lasciato carta bianca, ma può rivelarsi un’arma a doppio taglio perché aumenta la possibilità che la tua proposta sia completamente diversa dalla visione del director. Anche in questo caso lavorare in team aiuta molto, permette di condividere idee e pensieri. Il momento in cui si tracciano le linee iniziali della propria idea è anche quello che mi affascina di più, e ogni artista ha il suo personale metodo per mostrare il proprio progetto; c’è chi utilizza reference video, chi schizzi 2D…è uno studio completo a 360 gradi che precede la vera e propria animazione.


Sei animator supervisor di Mila, cortometraggio che tratta il tema della seconda guerra mondiale dalla prospettiva di una bambina. Vuoi parlarci di questa esperienza? Com’è stato lavorare a un progetto internazionale che ha coinvolto 350 artisti da 35 paesi? Immagino che il coordinamento sarà stato molto complesso!

Mila è stato il mio primo ufficiale progetto di animazione, che ho iniziato durante la mia fase di studio. Ho iniziato come junior animator perché non avevo molta esperienza, e il progetto mi ha subito coinvolto molto, perché si tratta di una bellissima storia. Anche Cinzia Angelini, la director del progetto, ha avuto una grande influenza su di me, sia a livello personale che lavorativo: è una cara amica e una persona eccezionale. Mila è stato il mio progetto di lancio, mi ha permesso di capire come funziona una vera produzione in tutte le sue fasi, e sono poi diventato lead animator. Essere lead è davvero una bella esperienza, ti porta a condividere la tua visione con gli altri animatori e ad ascoltare le loro opinioni, per raggiungere un risultato che sia esteticamente soddisfacente ma soprattutto che racconti veramente il messaggio che si deve trasmettere. Questo processo di condivisione fa crescere professionalmente tutti, non solo gli junior ma anche i lead animator. Tra l’altro lavorare a uno short film come questo è complesso, perché parliamo di un corto senza dialogo: devi riuscire ad esprimere anche l’emozione più semplice con pochi gesti, senza caricare troppo di espressività il personaggio. Parliamo tra l’altro di una bambina, sola in un mondo pericoloso e piena di domande e paura, un personaggio molto sfaccettato. A livello organizzativo siamo riusciti a coordinarci molto bene, nonostante tutte le difficoltà date dal fatto che si lavora da remoto: fusi orari diversi, e così via.


Stai lavorando anche a un tuo cortometraggio, Breath, ispirato a una tua esperienza personale: è dedicato ad un tuo caro amico, affetto da un problema congenito al cuore, che ha lottato con grande forza fino all’ultimo. Parlaci di questo progetto!

Breath nasce come un racconto, che inizialmente volevo tenere per me. L’ho scritto diverso tempo dopo la sua morte, era un’idea che avevo in mente da tempo e scriverla mi ha aiutato ad accettare la situazione. Un giorno, parlandone con degli amici, mi sono reso conto che poteva essere interessante trasformarla in un corto, condividerla con le persone. Un po’ come lui ha aiutato me, con il suo carattere forte e il suo attaccamento alla vita. Si comportava sempre come se non avesse nulla, con tenacia, e l’ho sempre ammirato e invidiato moltissimo per questo. A nemmeno vent’anni sembrava aver già colto il senso della vita.
Proprio per via di questo progetto ho studiato sceneggiatura, e man mano la storia si è trasformata, diventando sempre più potente. È un corto che si ispira alla sua vita, ma è stato da me reinterpretato, in modo che possa raggiungere più persone possibile e parlare a tutti. Vuole trasmettere il messaggio, a chiunque abbia un sogno, di non fermarsi davanti a niente; se non possiamo decidere il nostro destino, possiamo per lo meno dargli un senso. È la cosa più importante che possiamo fare in quanto esseri umani.


Adesso lavori per Double Negative, celebre studio londinese che si occupa di animazione ed effetti visivi, e hai preso parte alla produzione di Venom. Di cosa ti sei occupato nello specifico? Si tratta di un progetto molto diverso da quelli di cui ti occupi di solito!

Venom è stato effettivamente il mio primo progetto VFX; sono passato a questo film in seguito alla cancellazione di Planes 2.
È un mondo differente da ciò a cui ero abituato, anche se fortunatamente non è stato totalmente diverso: Venom è animato per la maggior parte in keyframe. Cambia anche il metodo di lavoro, si fa ampio uso di reference, perché l’animazione deve essere il più possibile realistica, per quanto si tratti di mostri. È stata comunque un’esperienza molto bella da cui ho imparato molto e mi ha spinto a studiare ancora di più. Appena ho finito di lavorare al progetto ho iniziato a studiare nuovi metodi di animazione, come per esempio la stop motion, uno dei più difficili in assoluto! A differenza del 3D, è difficile avere una visione d’insieme di ciò che stai realizzando, i tempi di produzione sono lunghissimi e sopratutto bisogna limitare il più possibile gli errori, ma è veramente affascinante.


Domanda difficile: il film d’animazione che più ti è rimasto nel cuore?

È una domanda molto difficile, mi vengono in mente tanti titoli! Ma se devo citarne uno, sicuramente l’intera produzione di Miyazaki e dello studio Ghibli. Nonostante parliamo di tecnica 2D, amo particolarmente i loro film che dal punto di vista artistico sono sensazionali. Anche il mio corto prenderà visivamente spunto da Miyazaki, e sto decidendo se realizzarlo in 2D o 3D. Si tratta di un immaginario visivo meraviglioso che ispira tantissimi artisti a tutti i livelli! Un film che mi è rimasto particolarmente nel cuore è Si alza il vento, perché racchiude un po’ tutti gli elementi chiave dei suoi film: il vento, la passione per gli aerei, la meravigliosa figura femminile che anche se in questo caso non è protagonista, riesce comunque a incantare con la sua forza.


Un consiglio per gli aspiranti animatori italiani?

Ci sono alcune cose fondamentali che talvolta non vedo in chi esordisce in questo campo. In primo luogo la curiosità: bisogna essere molto appassionati, è la sola cosa che può spingerci a superare i nostri limiti. La curiosità può aprirti un mondo di possibilità, ti permette di crescere molto di più in un settore come il nostro che è affascinante ma anche molto selettivo. Sopratutto oggi, c’è sempre più concorrenza, e ci sono tante scuole che preparano giovani artisti ad entrare sul mercato. A questo proposito, per un animatore italiano anche conoscere l’inglese può fare molto la differenza, se si punta a lavorare all’estero.
Un’altra caratteristica che non deve mai mancare è la modestia: talvolta mi capita di assistere a episodi in cui vedo poca umiltà. In ogni ambito c’è sempre qualcosa da imparare, anche quando si è professionisti da diverso tempo: non bisogna mai convincersi di essere arrivati e di non aver più bisogno di imparare. È necessario spingersi sempre oltre i propri limiti, tornare sui propri passi e migliorarsi; essere disposti a imparare da tutti, anche da chi magari ha appena iniziato. Il momento in cui si crede di non avere più nulla da scoprire è l’inizio della fine. È un mondo in continua evoluzione, bisogna sempre rimanere aggiornati!

Dory


Direct by Giacomo Mora

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